giovedì 30 dicembre 2010

Sineddoche: Madame Bovary





Ho letto Madame Bovary. L’ho fatto indulgendo ad una lentezza che, benché non mi privasse di una forza appassionata, nell’atto di leggere il libro, me l’ha fatto rileggere, procurandomi tutto lo spettro di queste emozioni: brio, divertimento, affetto, contemplazione, epifania, terrore, noia, fastidio, ripugnanza, e giunto all’epilogo tutta la lista di avvertimenti ben noti ad ogni ipocondriaco che si rispetti.
Il lettore di Madame Bovary viene a trovarsi di fronte ad una evidenza eclatante, quasi impudente nella sua platealità: capisce cioè, di avere tra le mani il romanzo perfetto. Succede per molteplici ragioni, e non pretendo certo di essere acuto o originale scrivendo due righe a braccio su un romanzo che ha accumulato centocinquanta anni di minuziosa esegesi. Tuttavia, non manco delle mie buone ragioni.
Anzitutto, il fatto stilistico: Capitolo VIII parte seconda, parodiando la tronfiaggine di Homais, Flaubert sembra raccogliersi in un piccolo vezzo autocompiacente - ce lo immaginiamo dopo una lunga giornata di accanita lotta con il linguaggio:
- Che catastrofe spaventosa! – esclamò il farmacista che trovava sempre espressioni adatte a tutte le circostanze immaginabili.

Che è quello che accade precisamente alla scrittura di Flaubert, qui impegnata a marcare una distanza, non solo critica, ma anche viscerale dai suo personaggio: Il mediocre Homais trionferà pure come trionfa la vita, godrà della gloria che si è guadagnato per mezzo delle abiezioni, ma lo scrittore lo punisce in continuazione, degradandolo tramite la comparazione:  Homais sfoggia la sua cultura raccogliticcia, Flaubert la grandezza dello manipolazione linguistica ( E l’erudizione che gli consente di giocare con la sua piccola creatura ). Un moralista è denudato da un giudizio di valore sfoderato sul campo della cultura: una rivincita che la vita concede assai raramente agli uomini vocati alla verità.
Lo stile flaubertiano, tra le altre cose, è essenzialmente un lavoro contro l’inerzia del linguaggio a farsi parola creativa, e il fulcro di questo stile sembra essere la concentrazione evocativa, che chiamo “densità sensoriale”; cioè la possibilità di esprimere, nel più sintetico dei modi possibili , tutta la gamma delle possibili sensazioni, la risonanza di un ambiente sui sensi, come nel caso di questo periodo:

La tenerezza dei giorni passati tornava loro nel cuore, abbondante e silenziosa [udito] come il fiume [vista] che scorreva [udito, vista] con tanta mollezza [tatto] quanta ne portava il profumo [olfatto] delle serenelle.

Tematicamente, poi, fra le tante risorse che il romanzo possiede, pur nella celebrata e vituperata impassibilità \ obiettività, Flaubert si premura di rispondere - com’è ovvio, per un libro promosso a status di classico - a tutta una serie di questioni esistenziali: il conflitto fra sogno e realtà in Emma, certo, la rapacità e la volgarità della vita, la sopravvivenza dell’esistenza alla tragedia ( e quindi la sua indifferenza alle sofferenze ), ma anche la degradazione sociale, l’educazione non proporzionata al ceto etc. Eppoi, un’altra domanda, dall’apparenza secondaria: di cosa ci innamoriamo quando ci innamoriamo? La risposta - come faceva già notare Barthes - è: dei dettagli. Nel romanzo succede continuamente, quasi coattivamente: i dettagli sono i latori della seduzione, dell’amore sensuale, concretizzazioni del desiderio. E’ chiaro che accade davvero così, nella vita, ma nell’ottica del romanzo questo accanimento fenomenologico sembra suggerire che l’amore è possibile solo fuori da una prospettiva generale, escludendo cioè una visione d’insieme - sulla persona, sulla vita - che è prima deludente, poi agghiacciante, infine mostruosa, in una climax di disperazione. D’altra parte, sono i personaggi stessi a rivelarsi di volta in volta poveri, sognatori o meschini, in rapporto al loro desiderio ( che nasce dai dettagli ).
Carlo, bonario succube di una madre fin troppo operosa, Edipo inconcludente, prototipo del marito amorevole e tuttavia tragicamente inadatto, di fronte a questo desiderio ( “Carlo fu sorpreso dalla bianchezza delle unghie della giovane. Erano lucenti, appuntite, più levigate degli avori di Dieppe, e tagliate a mandorla”) - è meravigliosamente e colpevolmente inconsapevole, e le sue sempre più frequenti visite ad Emma si svolgono nel segno di questa automazione, di questa inconsapevolezza: - Quanto a Carlo, non si chiese perché andava ai Bertoux con piacere. Se ci avesse pensato, avrebbe indubbiamente attribuito il suo zelo alla gravità del caso o forse al profitto che se ne attendeva.
Quando Emma si innamora di Leone, al contrario, il dettaglio si rivela comparativamente, seguendo la logica dell’evasione, della rivolta romantica a cui Emma è congenitamente fedele:- Ella notò le sue unghie che erano più lunghe di quanto portavano gli altri, a Yonville.
Rodolfo, invece, nobile provinciale e rozzo seduttore, conosciuta Emma, riepiloga sommariamente le sue doti fisiche, come si fa con un capo di bestiame: “ E’ assai carina! “ – egli diceva tra sé – “ è assai carina quella moglie del medico! Bei denti, occhi neri, piede civettuolo, ben fatta, come una parigina.”
Denti, occhi e piedi che, veicoli di una passione che rompe fragilissimi equilibri, alla morte di Emma saranno mortificati dall’unzione sacerdotale, sorta di sfregio che la continuità della vita – e della comunità con la sua ipocrita sopravvivenza -  impone a chi tenta di venir meno alla loro (della vita e della comunità) inflessibile autosufficienza: “Immerse il pollice destro nell’olio, e cominciò le unzioni: prima sugli occhi, che avevano tanto bramato le magnificenze terrestri; poi sulle narici, ghiotte di brezze tiepide e profumi d’amore; poi sulla bocca, che si era aperta per la menzogna, che aveva mandato gemiti d’orgoglio e gridato alla lussuria; poi sulle mani, che avevano goduto contatti soavi, e infine sulla piante dei piedi, così rapidi un tempo, quando ella correva a soddisfare i suoi desideri, e che ora non avrebbero camminato più".


1 commento:

  1. Insomma...a me, personalmente,Madame Bovary non è piaciuta un granchè, forse per via delle tante e prolungate descrizioni, ma...sul fatto del romanzo perfetto penso hai ragione, magari ci si riuscisse a scrivere un romanzo così...

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