venerdì 24 dicembre 2010

In nome della Madre. Erri de Luca contro il Natale come ideologia.


Ma c’è un bianco dentro la luce
ancor più misterioso
più oscuro delle ombre
più chiaro delle evidenze,
lo so, lo so da molti anni,
mi tiene per sé, lo tengo per me,
non per egoismo, non per altro,
perché questo è il mio colore.
Di questo bianco parla Dante,
di questo, non degli altri:
la calce violenta dei muri,
la pagine mai scritte,
i fumi delle cose che non sono.

Vittorio Cozzoli






Ho cercato un libro natalizio. C’era Dickens, c’era Murno. Ho preferito un libro piccolo intriso di una stagione malinconica e di poesia andata.  Non è difficile intuire cosa sia questo piccolo gioiello:

E' la storia della nascita di Gesù (che non viene mai nominato, chiamato semplicemente figlio) di Miriam e di Iosef di Giuda, ovvero colui che si è fidato. La fiducia è l’unica certezza del libro è la bellezza e la pienezza ingenua della parola contro ogni ragionevole dubbio. Il punto di vista è quello di Miriam, donna già nel nome prediletta. Appellativo duplice il suo: 

"In ebraico esistono due emme, una normale che va in qualunque punto della parola e una che va solo in ultima casa. Miriàm a due emme, una d'esordio e una terminale. Hanno due forme opposte. La emme finale, mem sofit in ebraico, è chiusa da ogni lato. Quella iniziale è gonfia e ha un'apertura verso il basso. È un'emme incinta".



Lo stile è lineare, semplice, dimesso. Protagonista è la semplicità della vita, quella che attraversa ogni esistenza ordinaria e straordinaria. L’umanità diventa sacra nei suoi moti quotidiani, nelle piccole e grandi trasgressioni, nelle fughe e nelle rinascite di ogni comunità. Assistiamo ad un bambino che non piange, consapevole come la madre del suo destino segnato. Diviene per questo fondamentale  il momento fra la notte e l’alba quando madre e figlio sarebbero stati soli nell’attesa della venuta del tempo. E’ un canto per la Madre di Dio e la gloria di colui che porta il suo nome (in Israele il nome è di discendenza matrilineare).

[…] fino alla prima luce Iesu è soltanto mio. E’ solamente mio: voglio cantare una canzone con queste tre parole e basta. Stanotte qui a Bet-Lehem è solamente mio. Succhiava e respirava, la mia sostanza e l’aria: “Non potrai avere niente di più bello di questo figlio mio. Il respiro di una notte di kislev scarsa di luna, te l’offre la terra di Israele, il succo di madre-pianta lo spremi tu da me.  Questo è il meglio che potremo darti, la tua terra ed io.” […]


L’adolescenza di Miriam va morendo nel momento in cui accetta di essere invasa dalla mansuetudine e dall’obbedienza al destino prescrittole. Indipendentemente dalla volontà di fede, questo libro sviscera la gravidanza senza diventare ideologico. Erri de Luca ricorda in una bella intervista a Feltrinelli editore:  

“La gravidanza è una scelta della donna, gli uomini stiano zitti uccidono solo il mistero, e non c’è nessuna ragione per vietare anche la soppressione di una gravidanza. Dimostra la libertà della vita”. 


Miriam è inedita, non è la figura muta a cui siamo abituati. Ella è davvero regina e non cede di un passo. Non riconosce il testo sacro come vincolante, ma usa il corpo per compiere il suo istinto che è l’attimo escatologico irripetibile. E’ duttile, attenta, vigile, cauta. E’ una regina di Israele così come lo sono state altre prima di lei. Avevano avuto ragione nonostante la rabbia degli uomini:  

“[…] c’erano state donne in Israele che avevano avuto ragione contro la legge. Avevano agito con il loro corpo contro i comandamenti ed erano diventate madri di Israele".

Prima che la rinascita del Sole, oggi è la rinascita di una nuova consapevolezza che prima o poi tutti gli uomini dovranno riconoscere, la fiducia nel poter dire: “E’ stata più giusta di me”.

Sino ad allora, ogni Natale che scorrerà sarà vano.

Nessun commento:

Posta un commento