mercoledì 8 dicembre 2010

“La Trilogia del Bar” Stefano Benni e il Natale al tempo della crisi globale 2.0


Tutti si prodigano di ricordare un Natale sobrio, senza esagerazioni nei regali, nel cibo, insomma una austerità di dickensiana memoria. Non sapevo cosa consigliare, se non libri dal prezzo assai caro ricordando però la loro collocazione in quei luoghi meravigliosamente democratici: le biblioteche pubbliche  ultimi stendardi della cultura europea di stampo fieramente socialista filo giacobina. Avevo in mente libri edificanti, seri, impegnati ma in cuor mio non me la sentivo nemmeno di recensirli tanta sarebbe la miseria nei confronti di un paese che sta andando letteralmente a fondo. Non volevo incazzarmi, non sotto Natale.  Di morti ammazzati ne è triste la cronaca stessa -anche i giornalisti di nera ormai si sentono banali- di romanzi rosa ne abbiamo tutti il vomito, in favole e fantasy non abbiamo più la forza di credere. E’ giusto, i cambiamenti vanno elaborati, assorbiti, capiti. E’ inutile forzare la gente ad accettare l’evoluzione verso “persone serie e sobrie e responsabili”, e convincere i giovani a smettere di assecondare un sistema che li confina in discoteche mattatoi per fargli dimenticare il lavoro precario, l’assenza di una famiglia ma soprattutto una dignità e un cervello pensante.  L’altro giorno mi sono fermata al  bar in centro per prendere un caffè post pranzo e mi è stata offerta la possibilità di fare la quinta in una briscola chiamata, o pensionata.  E’ andata più o meno così:
“Fiola*, il Giovanni el ghe no, vegnet te con notre a giùgar!” (Figliola, Giovanni non c’è, vieni a giocare con noi!)
“ In verità dovrei andare a lezione” guardo l’orario sulla parete e torno a fissarli. 14,30.
“Te parlet bele bén, te ghet mia bisogn dei maester” (Parli già bene, non hai bisogno di altri maestri)
*Particolare vezzeggiativo lombardo-cremonese, per indicare donne non ammogliate che sono in odore di santità, ovvero vivono l’età fertile.

Li ho guardati sospettosa poi penso “non mi costa nulla”. E poi avevano già dato le carte. Sono sempre stata brava con gli assi, anche se cerco di tenermi lontana dal poker e il suo santuario aperto di fianco ad un abituale locale cremonese dove sono solita passare innumerevoli ore nel santo sabbath. Si fanno le 19,30. Fra una briscola e l’altra si parla di tutto, anche se con me usano particolare reverenza sul genere femminile, non si lasciano andare nei soliti discorsi che aguzzo ogni mattina prima di passare a lezione. Li apprezzo, ci provano a farsi volere bene dai giovani che non gli degnano più di attenzione.
Durante l’ultima partita, con annesso servizio di Spritz campari soda, Vi ho pensato. Ma soprattutto, ho pensato a Stefano Benni e la sua trilogia del Bar. Mentre ridevamo per l’ennesimo errore del Mario, dettato dalla sua infallibile cocciutaggine, mi sono ricordata delle lacrime che tentavo di nascondere nelle ore di narrativa rubate illecitamente alle altre materie scolastiche del liceo.  
E’ questo il mio regalo di Natale, sane risate per un mondo in via d’estinzione, il Bar all’italiana e le sue cialtronerie.

Bar Sport
Scritto nel 1976, è un classico dell’umorismo all’italiana. Ci sono gli eroi dell’epopea umana più disparata: lo spara balle, il professore, il teNnico, il carabiniere scansa fatiche, il ragioniere innamorato della cassiera dal seno prosperoso (“ha delle tette stratosferiche”), il leggendario calciatore dal tiro portentoso che caccia il pallone sfondando i muri di cinta dell’oratorio, il lavapiatti che sogna di diventare IL cameriere, il gelataio e il bambino cretino, il Nonno. Poi ci sono altri protagonisti robotici flipper, il telefono a gettoni, la brioche condannata all’esposizione perenne e una attesa spasmodica del suo consumatore. Le comparse: il benzinaio, il pazzo, le due anziane signore, il gatto trippone, il pescatore, la naja. Ricordatevi nel Bar Sport ci si scambia anche i regali: sigari, cambiali e abbonamenti in tribuna.
[…]«Hanno mangiato la Luisona!». La Luisona era la decana delle paste, e si trovava nella bacheca dal 1959. Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo. La sua scomparsa fu un colpo durissimo per tutti. Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale disprezzo. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto malvagio conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni. Infatti fu trovato appena un'ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata.[…]

Bar Sport Duemila

Il Bar sport riapre i battenti, ma tutto cambia. I tempi scorrono e si insinua la malinconia per il turbo acceleratore che cancella l’umanità nella sua schizofrenia. Il libro si apre con l’analisi dei banconi stellari che hanno sostituito il sano banco sporco di caffé  e i viventi che li popolano.  Nel Bar Fico vengono esposte solo brioche invisibili a occhio nudo da scegliere con il microscopio, nessun cliente mostra un colorito naturale ma visi abbronzatissimi che vanno dall’albicocca al vitel tonné, ovunque squillano cellulari, rombano motori di chi parcheggia direttamente nel bar, e i banconi e camerieri sono in preda al delirio stilistico del designer. Nel Bar Peso, invece, si accentuano le caratteristiche brutali:  i cocktail assassini, la toilette irraggiungibile, la minacciosa torta Palugona. Come nel precedente capitolo il Bar è un contenitore per raccontare una umanità sempre più cupa e offesa ma irresistibile: il sassofonista Elmo Buenavista innamorato della bella Sweet Misery, la video battaglia di nonno Amedeo contro il Booz giapponese e i primi video giochi, Gaetano mai apparso in televisione, i tre Re Magi, Capitan Carabus.  Ci accompagnano nuovi amici (nemici) tecnologici: il videogioco, il distributore confidente o bastardone, la battaglia delle mosche per salvare la regina, il fetennista che si presenta tutto tecnologico e sudato, il cellulare con la conversazione truffaldina. Mozione speciale di questo piccolo capolavoro: la riparazione del Nonno, Sigismondo e Vittorina e il Bar di una stazione qualunque.
[…] Ma ogni giorno vedo diventare la gente più cattiva per niente, odiare quello che non conosce, ripetere i tormentoni della televisione invece di dire quello che c’ha dentro. Allora mi arrabbio. E a me, glielo dico subito, se la borsa scende o sale non me ne frega nulla. Mi frega dell’altalena dell’umore della gente. […]

Il Bar sotto il Mare

Si discosta dall’impianto narrativo dei precedenti, il bar qui è solo un pretesto narrativo, un luogo fantastico di cornice boccaccesca dove i presenti si impegnano a narrare una storia. Tutti i racconti vengono aperti da una citazione letteraria permettendoci così di cogliere l’ulteriore dimensione che Benni cerca di conferire ai suoi scritti a volte surreali, altri grotteschi, altri ancora profondamente seri perché parlano di un amore trascendente alla vita e le sue creature sempre più umiliate e bugiarde. Il libro si inserisce sia all’interno della trilogia del Bar sia nel recente Pane e Tempesta dove si afferma nell’incipit: “Nei sogni della notte i cattivi chiedono perdono ed i buoni uccidono”. Il campionario umano è infinito: Sompazzo il paese più bugiardo del mondo, Gaspard il più grande cuoco di Francia, il verme mangia parole, la disfida di Salsiccia, il dittatore pentito, il marziano innamorato, il delitto della II C, l’autogrill della morte, il porno sabato del cinema Splendor, e via dicendo.
Mozione speciale per: il folletto delle brutte figure, il diavolo geloso e la chitarra magica e i capricci del dio Amikinont’amanonmikit’ama.  A raccontare queste meravigliose fandonie troviamo il barista, l’uomo con il cappello, l’uomo con la gardenia della sirena, il marinaio, l’uomo invisibile, la vamp e molti altri.
[…]Non so se mi crederete. Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l'altra metà a credere in ciò che altri deridono[…]

Vi lascio con un regalo di Natale, prendetelo ora che sono in buona, si sa mai che da qui al 25 dicembre diventi di nuovo cattiva, acida,ipertrofica, e non ve ne sia più per nessuno:
Le persone non muoiono, restano incantate (Joao Guimaraes Rosa).
E’ la citazione usata da Benni per presentare Arturo perplesso davanti alla casa abbandonata in riva al mare.  Direi che rende bene la situazione dell’Italia, un paese che aveva il compito di esportare la gioia e la cultura, ed ora esporta cervelli a basso costo umiliando chi resta a bighellonare. Andrò di nuovo a giocare a carte, chissà che non mi vengano altre ispirazioni.

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