domenica 10 ottobre 2010

Quando Lincoln Rhyme voleva morire: il Collezionista di ossa.


Jeffery Deaver, Il collezionista di ossa, Bur, Milano, 2010


Jeffery Deaver ama sottolineare quanto l’effetto sorpresa sia il cardine del suo stile, senza peccare di modestia. In questo romanzo di apertura della serie  Lincoln Rhyme l’effetto destabilizzante è l’intero tessuto della narrazione.
Niente di ciò che credevate alla fine verrà scardinato ma solo spostato. La tensione è totale come in nessun altro thriller di Deaver. La sorpresa soggiace dietro ogni pagina, mentre la lettura agilissima vi farà provare l’emozione dei poliziotti che si lanciano all’inseguimento nel traffico newyorchese, l’analisi della scena del crimine e l’effetto brutale della morte come la migliore delle scelte possibili. Potrete identificarvi nella bellissima agente Amelia Sachs o il geniale tetraplegico Lincoln Rhyme, senza sentirvi traditi nell’orgoglio di fazione.

Il libro si apre con l’arrivo a New York delle prime due vittime del Collezionista. Poveri malcapitati in un taxi senza via d’uscita alcuna, tutti lo sanno, anche loro.
Amelia affronta la sua prima indagine  (mentre spera di cambiare lavoro) ritrovando un uomo sepolto vivo. La mano del cadavere è protesa al cielo e il dito anulare completamente scuoiato. Lon Sellitto, capo della omicidi, non ha dubbi: la patata bollente deve passare per le mani di Rhyme ormai in pensione forzata dopo l’incidente che l’ha ridotto in fin di vita e completamente paralizzato, eccezion fatta per la testa e il dito indice sinistro. Rhyme cerca di evitare il caso; vuole morire dignitosamente aiutato da un medico specialista in morti assistite. I suoi falchi non lo consolano più, mentre Thom il fido assistente infermiere, cerca di accudirlo con virile comprensione. Rhyme è sospeso in due tentazioni: quella della pace idilliaca e quella della vita caotica senza trama apparente. Sellitto riesce, tuttavia, a solleticare l’orgoglio dell’ex detective sino a convincerlo ad allestire un laboratorio analitico di prove organiche in casa del "povero malato". Amelia, suo malgrado, diventerà gli occhi, le gambe, e la forza di Rhyme assecondando la sua crudele genialità. Con scontri continui, screzi e confessioni dolorose Rhyme condurrà un’indagine contro il tempo stesso e la pressione burocratica dei federali.
Sullo sfondo abbiamo una New York frenetica per la conferenza dell’Onu. Un uomo decide di approfittare di questa confusione per rubare un piccolo libriccino nella biblioteca pubblica, mentre le conseguenze di tale atto sono facilmente intuibili, Rhyme non si farà ingannare mettendo a tacere una volta per tutte quella voce sinistra che è la depressione.

Deaver inaugura un detective lontano dagli stereotipi del genere ma inserito nello stesso. I dialoghi sono perfetti, taglienti, e come Amelia, ci sentiamo schiacciare dalla freddezza e lucidità investigativa del sedicente tetraplegico. I colleghi di lavoro lo guardano con sospetto ma senza pietà, esattamente come farebbe il lettore di fronte al suo cipiglio severo e militaresco. Niente a che vedere con i grandi del giallo, autoritari e perfetti. Rhyme non sarà lo 007 della polizia newyorchese ma nella sua infinità dignità risolverà il caso meglio di chiunque perché obbligato ad ascoltare, ad osservare senza farsi prendere dalla frenesia che spesso caratterizza chi ha sete di giustizia. Rhyme nella sua difficile condizione è abituato ad aspettare mostrandoci come le ore siano fragili esattamente come i nostri nervi. La genialità del libro è delineare da una parte i limiti di una vita menomata e offesa e dall’altra chi ne abusa sino a sentirsi padrone di amare le ossa eterne e non la fragile carne degli esseri che lo guardano supplichevoli. Non siamo uguali nella carne e nemmeno nelle ossa. L’utopia è scardinata. Finalmente.


Voto: 8

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