sabato 30 ottobre 2010

La temperatura per bruciare i libri? 451 gradi Fahrenheit

Ray Bradbury, Farenheit 451, Oscar Mondadori, Milano,2007


E’ un romanzo “sacrale” scritto nel 1953 da Ray Bradbury, edito in Italia con diversi titoli prima dell’attuale Fahrenheit 451: Gli anni del rogo e Gli anni della fenice. Immediatamente divenne un classico della letteratura di fantascienza, ma oggi si colloca in un sottogenere ancora più ristretto ed insidioso quale la Distopia, personalmente da me molto amato. Per distopia si intende una società indesiderabile sotto tutti i punti di vista che non solo viene tollerata dai protagonisti, ma anche appoggiata e difesa come il miglior modello possibile. La narrativa fantascientifica usa la distopia come un punto di riferimento fisso, una sorta di satira nera che rende la vena realistica altamente suggestiva ed invade il lettore nel centro più debole, ovvero il sospetto del reale (esempi celebri 1984 di Orwell e La svastica nel sole di P.Dick).
La trama del libro, come ogni romanzo di fantascienza distopica, ha una chiave di lettura semplice e lineare che permette al lettore di seguire, senza troppi scossoni, l’intera vicenda. L’obiettivo non è creare, infatti, un gioco di trama complesso ben sì inquietare e mostrare la realtà immaginata con crudele spietatezza. Guy Montag è il pompiere protagonista dell’intera vicenda. Montag fa lo stesso mestiere di suo nonno e di suo padre, ma non è un pompiere come noi lo possiamo immaginare, egli ha il compito di appiccare incendi ai libri, ai volantini, e qualsiasi diffusione della carta stampata. Insieme ai suoi compagni, va in cerca di sovversivi, sfonda le loro case, appicca il fuoco non curandosi della vita del disertore. In un mondo liberticida essi vengono chiamati Incendiari che con malcelato orgoglio amano asserire: “è un bel lavoro. Il lunedì bruciare i luminari della poesia, il mercoledì Melville, il venerdì Whitman, ridurli in cenere e poi bruciare la cenere. È il nostro motto ufficiale”
Le convinzioni di Montag non sono granitiche, in particolare, quando scopre che il Segugio macchina da guerra dello Stato lo controlla senza curarsi minimamente di garantirgli un contraddittorio, o un processo. Nella città di Montag si finisce in galera per due anni superando il limite di velocità, i giovani vengono segregati in scuole di dottrina per poi essere lasciati in liberi in appositi locali dove essi possano distruggere ogni cosa e sfogarsi. Ai giovani viene imposto il divertimento, così come l’intrattenimento forzato viene inculcato attraverso una televisione sempre più alienante e crudele. La moglie di Montag la chiamerà Famiglia, passando sotto le sue grinfie l’intera giornata, e come lei milioni di altre persone. Guy incontrerà Clarisse, una giovane che gli insegnerà ad amare la pioggia e il vento, a correre nelle strade deserte, e non temere la vita incontrollata e le sue profonde responsabilità connesse alla memoria del mondo reale, e non il rifugio utopico dello Stato. Per la prima volta qualcuno ricorderà a Guy la felicità: “Siete felice?” chiede Clarisse prima di sparire all’improvviso senza lasciare traccia.
Montag incontrerà anche un vecchio professore di letteratura inglese (uno degli ultimi rimasti in vita)  Faber, il quale spiegherà la natura del libro e la sua straordinaria componente materiale che lo rende un oggetto fisico fatto di Eros: “Sapete che i libri hanno un po’ l’odore della noce moscata o di certe spezie d’origine esotica?” Poi la voce di Faber cambia timbro, quando avverte Montag della minaccia rappresentata dal capitano degli incendiari: “Ricordati che questo Beatty appartiene al nemico più pericoloso della verità e della libertà, la bovina mandria compatta e inerte detta maggioranza.”
Guy imboccherà una strada senza ritorno, dopo aver imparato a correre egli porterà in salvo i libri che aveva rubato verso una destinazione precisa, il margine della città dove risiedono altri letterati ed intellettuali della passata generazione pronti ad accogliere e difendere quel poco che resta della cultura occidentale. Essi diventeranno libri viventi.
Leggendo l’epilogo dentro di me è scattato un parallelismo, che sino ad allora pensavo lontanissimo in una società iper-culturale come la nostra, con Cassio Severo in un episodio ricordato da Seneca. Mentre nel decreto del Senato i libri venivano dati alle fiamme egli disse con forza solenne: “Ora dovrete bruciare vivo anche me, perché io li so a memoria!”  Parto da questo episodio per analizzare un libro che sembra essere inesauribile in ogni epoca post-moderna. Fiumi di inchiostro sono stati spesi per ricordarci come il libro sia un mezzo di trasmissione unico del sapere, un’arte unica, antica e insostituibile anche nell’era digitale. Nonostante l’immensa possibilità dell’informatica bisogna sottolineare con forza la sua pericolosa evanescenza che con click imposto ed incontrollato porterebbe il sapere ( non tradotto in fisicità espressa) a svanire come un’idea. Difficile sarebbe bruciare ogni libro, molto più difficile è uccidere qualcosa di fisico. Il mio intento, tuttavia, non è quello di parlare del libro bandito dalla società, basti citare due illustri saggi per esaurire l’argomento:
Arthur Schopenhauer, Sulla lettura e sui libri a cura di Valerio Consonni, La vita felice edizioni
Livio, Seneca, Tacito, Libri al rogo a cura di Mario Lentano, Palmar edizioni
Voglio sottolineare altri due aspetti che sembrano passati in secondo piano dai critici:
1.      Il vuoto che conduce allo svuotamento e alla denigrazione della fatica
2.      Lo spazio vuoto che induce l’uomo ad essere specchio del vuoto stesso
Bradbury sottolinea con forza quanto il libro, pur essendo un oggetto insostituibile, divenga un mero strumento da non subordinare al contenuto dell’informazione. Si deve amare il sapere, la cultura, la parola scritta ovvero l’esperienza dell’arte e dell’uomo e non le pagine date alle fiamme. Dobbiamo diventare uomini abitati, uomini con uno spazio interno tale da renderci colmi di vita nostra e altrui. Bradbury ha paura della letteratura che si fa intrattenimento fine a se stesso, dell’uomo che vuoto diventa emblema della noia e dell’assurdità. Giovani che non conoscono o non ricordano nulla del passato o dell’esperienza umana sono come mine vaganti. Non si fanno scrupolo, infatti, a tentare di investire Montag mentre corre disperatamente lontano dal Segugio. Analogie con fatti di cronaca recenti sono per esempio i giovanissimi che per divertirsi accendono come torce malcapitati senzatetto. Questo è un sintomo dello svuotamento culturale, che piano piano, la società borghese induce a se stessa. Noi tutti diamo la colpa alle Istituzioni, ma esse sono ed esistono proprio grazie alla cultura, piuttosto la responsabilità è dell’Illuminismo infantile che ha condotto come bandiera il concetto del degrado della fatica umana come non necessaria e patologica. L’uomo non deve fare fatica: questa è la società dei seduti. Perché leggere i grandi della letteratura quando qualcuno può narrarli per noi? Magari possiamo ascoltare i riassunti. O le paradossali uscite promosse dall’Espresso, in cui le grandi colonne della letteratura vengono ridotte e rinarrate da sedicenti voci della “cultura” letteraria contemporanea. Sono sintomi pericolosi perché tutti noi non vogliamo fare fatica e preferiamo la tv a Delitto e Castigo senza frapporre indugi. Sarà la nostra società a non voler più leggere e il potere non ammetterà censura, solo sfrutterà la pigrizia per ingrassarsi.
 Il vuoto diventa lo specchio della noia umana, il vuoto diviene l’opposto della vita e della sua esperienza. La narrazione non è intrattenimento, di fatto, tutte le popolazioni dalle più antiche a quelle post moderne devono raccontarsi e tramandare ciò che conoscono per offrire alle generazioni future un linguaggio grazie al quale dare nome alle emozioni che altrimenti non conoscerebbero un corrispettivo nella realtà. Gli antichi usavano il mito, non è un caso che in una società post-moderna e stupida come la nostra, esso venga degradato alla mera favola istituzionalizzata da iper-esperti che l’hanno sembrata come se fossero chirurgi in sala operatoria. Oppure il mito si traduce nel divino televisivo, l’unica prima donna rimasta nella cultura, battendo anche il cinema figlio illegittimo dell’alta letteratura artistica. Il vuoto dunque conduce allo svuotamento dell’uomo, un automa fragile e sparuto, domabile e silente sino a che l’istinto irrazionale non preverrà in atti di insensata ferocia autodistruttiva. L’uomo senza linguaggio è un perduto destinato ad impazzire di dolore. Figura sottovalutata e ridotta a mero cliché di donna-velina è la moglie di Montag emblema di questa vita vuota e repressa. La chiave, a mio modesto avviso, per coglierla nella sua interezza è quella della sofferenza per lo spazio spoglio. Già Montag soffre per le pareti senza arte e bellezza, senza scaffali di libri, proprio lui che ha visto la bellezza fisica degli oggetti, ma ancora di più la sofferenza si riflette su Mildred che non sa dare voce alla sua tristezza e più di una volta tenta il suicidio sventato sempre dal marito. Ella allarga le pareti, fa un mutuo sempre più ingente, per aggiungere maxischermi sui muri sgombri in modo da non accorgersi dello spazio e quindi dell’illusione che sta vivendo. Vuole credere che le persone negli schermi siano reali, una famiglia, un nucleo con cui comunicare. Il rischio non è una desolazione culturale, non la perdita di nozioni o di ricordi legati ai grandi pionieri della cultura, ma la perdita dell’umanità e del rispetto del suo spazio vitale. Curare la propria interiorità con il linguaggio di altri significa adornare un giardino con piante esotiche capaci di condurre a sé le farfalle che noi abbiamo sempre cercato. La bellezza e la vita sono legate ad un concetto di spazio abitato, ma soprattutto di uomo-abitato. Le pareti vuote sono una sofferenza desolante a cui andiamo incontro, le nostre case sommerse dall’immaterialità tecnologica assomiglieranno sempre più a prigioni ricolme di spazio lasciato inerte e morente. Le librerie colme di volumi che davano prestigio alla casa spariranno in e-book, minacciati dalla morte fisica per guasto, i dvd, i dischi, i cd musicali non occupano più le nostre tv, solo il decoder satellitare. Gli amici che verranno a cena non potranno più ammirare il patrimonio culturale che stiamo contribuendo a creare, ma solo normali e vuote pareti adornate da schermi sempre più grandi e rumorosi.
Abbiate pazienza dunque! Prima o poi aboliranno anche il silenzio, l’ultimo spazio vitale necessario per pensare. Ma non sarà una censura, sarà la dittatura della maggioranza. Chi sarà di noi il primo Montag?


Edizione di riferimento:
Ray Bradbury, Farenheit 451, Oscar Mondadori, Milano,2007 euro: 7,50

Voto: 10 e lode

2 commenti:

  1. Bellissimo. Quanto mi ritrovo nel discorso dello spazio abitato...Io mi sento cullato dai libri, dalla loro presenza. A questo proposito, ti invito a riconsiderare lo scenario di queste interviste: http://www.youtube.com/watch?v=vgiBBB6LxTA (La semiotica è una scienza esatta, e anche la prossemica)

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  2. Grazie per il video, corro a vederlo :) appena ho qualche minuto di calma prendo in considerazione il tutto e devo riscrivere l'intervento circa il tuo post :D

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