lunedì 18 aprile 2011

Dave Eggers, L’opera di un genio che non ha chiesto di esserlo.






Recensire questo libro, dopo una lunga pausa, è come tornare a fumare dopo anni di astinenza.

La brevità è l’unica cosa che manca a questo libro per essere davvero "funzionale", come l’autore cercava di dimostrare nel grandioso paratesto in cui si sorride, si scherza, si insinuano nuove teorie metalinguistiche e metanarrative (“non si può certo dire che nell’autobiografia i personaggi non abbiano fatto sesso con l’autore, fra loro, con loro stessi e con una balena”) . Libro troppo, troppo di tutto.
La trama è struggente e tenera ma solo in superficie. Eggers dopo la morte dei genitori, entrambi vinti da tumori, si occupa del fratellino Toph trascinandolo con sé in una vita durissima ma stimolante. Incapace di assumersi delle responsabilità durature Eggers è un genio straripante di innovazione, apre una rivista, si occupa di arte nel senso lato del termine, anticonvenzionale e tradizionalista allo stesso tempo cerca di inculcare al fratello un minimo di lezioni di vita, mentre egli cerca di sconfiggere lo spettro di una sorella suicida, l’alcolismo del padre, del fratello invasato di letture religiose, della madre tenera e comprensiva che nemmeno in punto di morte intende pesare sui figli.  Candidato al premio Pulitzer fa riscoprire un universo sotterraneo fatto di mordace ironia e una nuova cosmologia di sentimenti e paranoie tipiche della nuova generazione di Nerd ipercolti, stanchi e sfiduciati vinti dal demone artistico come gli orfici oppressi nella Grecia conquistata dai romani. Di religioso Eggers ha  solo il culto di sé stesso, culto portato allo stremo dal totale rifiuto di accettare l’imperfezione e la sua incapacità di crescere Toph in un ambiente sano (“ho provato a pulire casa, ma poi mi sono arreso, i mobili dei nostri genitori sono andati morendo, come tutto del resto”) l’infedeltà cronica al limite della parodia, e l’antisocialità mista al nervosismo curioso degli infanti che si muovono verso cose che gli attirano e li respingono in maniera schizofrenica.  E’ l’opera del bruciante dolore sotterraneo che fa giungere allo spasmo la vita e le sue creature.
Avvincente, ma lungo. Colto, ma sciatto. Colmo di virtuosismi, ma ripetitivo come la quotidianità che vuole rappresentare.
Se lo vorrete leggere, non avrete scampo come disse il buon Wallace all’epoca, ma sappiate che qualche pagina la salterete di rigore, e Eggers lo sapeva. Infatti l’ha scritto nel paratesto.
Anche stavolta ci ha preceduti.

Ma non è stato lui a volerlo. Parole sue. 

Edizione di riferimento: Dave Eggers, L’opera struggente di un formidabile genio, Mondadori, euro 9,50.

Voto: 8

domenica 6 marzo 2011

La sottile linea scura di Lansdale e il Texas delle tre K.







Raramente mi sono affezionata ad uno dei protagonisti di un libro. Ero quasi dispiaciuta di doverlo chiudere. Apro la recensione  con una posizione forte: non è un romanzo di formazione, come qualcuno decanta per far vendere qualche copia in più ad insegnanti “leggermente” buonisti- a meno che per formazione non si intenda omicidio. Infatti tutto ruota attorno alla linea di demarcazione fra la vita e la morte. Altro paragone immediato è la dicotomia fra  “vita misera” e  “vita vissuta fuori dalle convenzioni”, non tanto fra bene e male il cui paragone non è solo forzato, ma sembra non centri molto con il ragazzino in questione che impara molto presto quanto il concetto di “male” sia relativo.
Ci troviamo in una estate afosa del Texas anni ’60 e Stanley il giovanissimo protagonista lavora al Drive-in del padre insieme alla sorella. Siamo in un Texas vomitevole, fatto di discriminazione non solo razziale ma anche sociale e religiosa – oltre che sessuale. Se sia cambiato tutto questo? Guardando alcuni texani influenti degli ultimi dieci anni, vai tu a capire quanto. Per riassumere in breve la trama basti dire che Stanley ficca il naso in un segreto che doveva restare sepolto aiutato dalla magistrale figura di Buster, l’amico nero vecchio e colto che non esita a mettersi in gioco per salvare il ragazzino su cui nutre infinite speranze. Sullo sfondo delle indagini di questi due raffazzonati detective, abbiamo la sorella di Stanley e la madre fortemente anti-razziste e preoccupate dall’esplosione della sessualità che le viene a travolgere. La cameriera di colore che fugge dal marito pazzo di gelosia- ma forse pazzo e basta- il padre di Stanley uomo forte e generoso che incarna l’anima positiva di una fetta dell’America che è andata perdendosi con il turbo capitalismo. Richard, l’amico di Stanley, in fuga da un padre predicatore evangelico tutto botte e desolazione spirituale e la madre di Richard, masochista e meschina innamorata del proprio uomo e dell’odio che cova per esso.
Lansdale non vuole insegnare niente ma tende a mostrare una realtà dura, semplice e per questo assolutamente sbagliata e limitante.  Non ha il tono pedante del maestro, ma lascia che siano i  personaggi come Buster o Rosie a parlare senza che si faccia una morale anti-razziale. Callie riuscirà a spiegare a Stanley la sessualità senza pretese di salvarlo da nulla, nemmeno da se stesso, raccontando le cose come stanno dagli albori del tempo e non ne ha la minima paura di ciò. Buster ha la delicatezza di spiegare il lesbismo con una parola molto semplice e significativa rispetto a tanto altre in voga oggi: diverse. Il padre di Stanley cerca di omologarsi pur sapendo che certe espressioni come negro e frocio non vogliono dire nulla e sottintendono tutto, dimostrando però che la nostra voglia di essere accettati non spegne la nostra coscienza. E’ un romanzo di narrazione-dimostrazione assolutamente veritiero e verosimile, forte della realtà sociale da cui proviene l’autore. Lansdale è figlio di un meccanico analfabeta e si guadagnava da vivere con gli incontri di wrestling prima di dedicarsi alla scrittura. Immagino che il padre di Stanley sia una metafora del vecchio di Lansdale, buono e pronto a qualsiasi sacrificio pur di dare al figlio l’opportunità di avere una vita più agiata e un’istruzione più appagante. La differenza fra istruzione e cultura si incarna nel saggio Buster figura chiave e assolutamente adorabile in tutto il romanzo.
Mozione speciale per il padre di Richard. Personaggio talmente controverso che non si esaurisce per tutto il romanzo, nemmeno dopo la sua dipartita. La fatica di trovare un senso in questa vita, non ha degli assoluti, checché si voglia dire, il senso è sempre altrove magari nel prossimo nostro o nella vita che siamo chiamati a conservare.
Complimenti al traduttore che ha fatto di tutto per rendere lo slang di quartiere nero diverso dalla parlata texana. Impresa non semplice in traduzione. 

Unica pecca: la chiusura non è equilibrata e si esaurisce con troppa velocità.

Edizione di riferimento: Joe R.Lansdale, La sottile linea scura traduzione di Luca Conti,Torino, Einuadi, 2004

Voto: 7,5

mercoledì 23 febbraio 2011

Diamo i numeri! L'italia e la lettura in cifre secondo l'ISTAT

L’Istat ha resto noto nell’aprile 2010 una serie di dati che andremo qui ad affrontare. Il testo integrale è presente in questa pagina e scaricabile in pdf: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100512_00/

Premetto che eravamo già messi male, ma qui si rasenta una catastrofe culturale di allarmanti proporzioni. A salvarci sembrano i giovani che hanno una cultura superficiale e qualunquista e leggono solo libri di tecnicismi forzati o di intrattenimento con scarso valore culturale. L’Italia legge poco e male, ma quello che emerge è ben altro rispetto a ciò che sapevamo già. Niente di nuovo sotto il fronte occidentale? Ebbene no.

Partiamo subito dai dati “positivi”. La popolazione italiana sopra i 6 anni di età (nel 2009) ha dichiarato di aver letto almeno un libro. La quota più alta di lettori si riscontra tra la popolazione di 11-17 anni (oltre il 58%), con un picco tra gli 11 e i 14 anni (64,7%), e decresce all’aumentare dell’età. Già a partire dai 35 anni la quota di lettori scende sotto il 50%, per diminuire drasticamente dai 65 anni in poi e raggiungere il valore più basso tra la popolazione di 75 anni e più (22,8%). I giovani al sopra dei 35 anni non leggono nemmeno un libro all’anno nel tempo libero, e nessuno nemmeno in ambito lavorativo. Le donne leggono sempre più dei loro coetanei maschi in particolare nell’età compresa tra i 24 e 26 anni.

Il profondo rosso è dettato da una società ancora fortemente legata alla enorme massa di persone che non possiedono un titolo di studio superiore, infatti coloro i quali detengono esclusivamente un titolo di licenza media sono quasi il 28% degli italiani, anche molto giovani. La divisione in classe culturale e sociale detta quindi uno “svarione” da record, chi legge sono solo i laureati con l’80% degli acquisti.  I laureati tendono però a leggere testi specialistici, fortemente legati alla professione intrapresa, e così anche i liberi professionisti e gli imprenditori. La lettura come cultura è assai cosa rara.

Fonte Istat per ingrandire cliccare sulla foto


A livello territoriale il Sud detiene un record negativo europeo per quasi dieci anni consecutivi. La lettura si concentra per il 52% al Nord, al Centro 48% sino a scendere sotto il 30% al Sud e nelle isole. Significativo è il livello di lettura regionale: il Friuli Venezia Giulia e in particolare la città di Udine fanno registrare picchi di oltre il 56%. Bene anche il Trentino che fa registrare un picco analogo oltre il 56%. Maglia nera alla Sicilia e Campania che per estensione territoriale leggono solo il 31%, circa 1 lettore ogni 100.

Vediamo ora una divisione interna tra i lettori che si dividono in due categorie “forti” e “deboli”. Se definiamo “lettori deboli” coloro che hanno letto al massimo 3 libri nei 12 mesi precedenti l’intervista e “lettori forti” coloro che hanno letto 12 o più libri nello stesso arco temporale. I lettori di libri si confermano fondamentalmente deboli: il 44,9% ha infatti dichiarato di aver letto fino a 3 libri nell’ultimo anno, mentre solo il 15,2% ne ha letti 12 o più.


Le biblioteche personali e domestiche, sembra quasi inutile dirlo, subiscono una flessione laddove il reddito procapite è legato a mera sussistenza- circa il 30% degli italiani utilizza l’intero stipendio per sopravvivere senza potersi dedicare alla propria cultura. Nel 2009 l’89,2% delle famiglie dichiara di possedere libri in casa: il 62,5% ne possiede al massimo 100 (il 28,9% fino a 25 libri, il 33,6% da 26 a 100 libri), poco più di un quarto dichiara di possederne più di 100 (26,7%), mentre il 10,3% (pari a 2 milioni e 474 mila famiglie) dichiara di non possederne affatto.  Le regioni con il più alto numero di biblioteche domestiche sono in prima istanza il Friuli Venezia Giulia, il Trentino, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto. A sorpresa rientra la Sardegna con una percentuale del 32,9% dato in forte contrasto con la percentuale di lettori nell’Isola.

L’importanza di una biblioteca domestica è fondamentale per coloro che intendono offrire ai propri figli uno stimolo alla lettura. Dati pedagogici confermano che i bambini diventano lettori forti se in casa si possiede almeno uno scaffale di libri dedicati alle letture giovanili (per esempio i classici di avventura). Se letti in pre-adolescenza i giovani acquisiscono una curiosità che va crescendo con l’età e non subisce rallentamenti di sorta. Insomma un lettore forte in adolescenza, lo è per tutta la vita.


Leggendo i dati raccolti e le tabelle indicative ci mostrano uno scenario sempre più elitario e anti-democratico. Il reddito influenza non solo il titolo di studio, ma anche la cultura del soggetto e la sua predisposizione ad essa.  Le biblioteche pubbliche registrano un forte aumento di frequenza ma soprattutto grazie agli studenti che sempre più spesso scelgono le aule bibliotecarie per preparare esami, causa la condivisione di appartamenti con altri coetanei.  Le biblioteche tornano così ad essere un luogo di aggregazione come per la generazione pre-sessantottina e rifugio per precari che cercano di poter raffazzonare una formazione da autodidatti per far fronte a stipendi sempre più risicati. La cultura da obbligo di formazione, diventa una necessità vitale che va ottenuta con ogni mezzo possibile, nonostante non garantisca un futuro lavorativo immediato. Sempre più spesso aziende cercando dipendenti o collaborati con una cultura ferrea e solida anche in campo culturale e umanistico per far fronte alle esigenze di comunicazione di massa che la globalizzazione impone. Le aziende sempre più si curano del benessere dei propri dipendenti, vacanze e sconti agevolati per palestre, biglietti scontati per concerti e teatro, cultura con corsi di formazione. Il modello svedese di benessere sociale sembra aver raggiunto anche il nostro paese, con il classico ritardo di sorta, ma registra un notevole gradimento da parte di tutte le istituzioni.
Le insidie alla cultura, tuttavia, sono tantissime. Altri strumenti ammazza libro sono i social network che diventano opprimenti nel nostro paese. Record vuole di iscritti italiani su Facebook e Twitter, mentre calano drasticamente le letture di intrattenimento sino a due anni fa costanti. La lettura quindi non è più lo svago preferito dopo cinema e discoteche ma un nuovo tipo di comunicazione destinato a stravolgere la nostra quotidianità e il rapporti interpersonali. Facebook e i blog diventano mezzi di critica letteraria militante e itinerante che alternano servizi di qualità contro raffazzonati “professionisti” della domenica.  La democrazia è anche questo, grazie al cielo. L’emergenza è alta, e non affidiamoci a Dio o chi per esso per risolverla.



sabato 5 febbraio 2011

Le ombre dell’esistenza in Alice Munro e le sue “Runaway: Stories”






Tradotto in Italiano “In fuga” perde un poco della sua poesia. Runaway è correre lontano, non proprio fuggire. Di fatto le donne della Munro non sanno di fuggire, sono orgogliose, inaccessibili e non ammettono che si usi un termine tanto dispregiativo nei loro confronti. Non vogliono abdicare alla vita, ma in un certo senso si muovono nell’inerzia del destino, inconsciamente sia chiaro.
Questo libro è dedicato agli amici dell’autrice. Spesso ci si dimentica  quanto le dediche possano essere rivelatrici del significato intrinseco della storia. Tutti i personaggi presenti sono trattati con una pienezza tale da ricordare l’affetto incondizionato che si prova per gli amici. Quanto vi sia di autobiografico non ci è dato saperlo, ma non è questo il punto.

In questi otto racconti vediamo lo spaccato pieno e perfetto della quotidianità umile e dimessa della piccola borghesia canadese (che non differisce assolutamente da nessun altra, fatta eccezione per il senso di inadeguatezza culturale nei confronti degli Usa.) C’è bellezza, purezza in contrasto con la profonda tensione malinconica dei suoi personaggi. Ogni donna del suo libro assomiglia al paesaggio: austero, severo, impalpabile ma profondamente scosso da un moto di inerzia della vita. Si muovono i suoi personaggi e non solo in un piano astratto. Viaggiano, ci provano a dimenticare, a ricominciare. C’è chi torna indietro non riuscendo ad ammettere che la libertà non ha nulla a che vedere con la gioia, donne che hanno cercato di forzare i limiti sociali pagando con l’affetto dei propri figli, debiti d’amore, fughe carissime che costano l’anima di chi le intraprende. Nessuno sa dove andare ma tutti sanno che così non può andare avanti. Un senso di rassegnazione pervade la bellezza di arrendersi all’imprevisto. Donne distrutte dal dolore e dalla perdita, donne vigliacche e sottomesse a cui piace farsi sottomettere per poi lamentarsi, agili madri dalla profonda convinzione che educare un figlio significhi renderlo simili a loro eludendo l’unicità miracolosa di ognuno di noi. Donne egoiste, senza pietà, senza amore per se stesse e per gli altri. Donne dai poteri stupefacenti, donne e uomini troppo buoni ed ingenui fino all’idiozia.  Non c’è carne, non c’è sesso, non c’è bisogno di colorire la storia con dettagli inutili, meglio accennarli, meglio sott’intenderli nei titoli (esempio, passione). Tutto è calibrato in una economia di parole ed espressione che risulta essere perfetta, non c’è una parola in più del dovuto. 

“La conversazione dei baci. Sommessa, eccitante, sfrontata, rivoluzionaria”. (pp.180)

E’ così che parla Munro. Sottile. Precisa e proprio per questo evocativa, eccitante. Profondamente rivoluzionaria. Lontanissima dal nostro stile scrittorio, colorato, vivace, carico di sinonimi dalla bellezza impareggiabile, ella dimentica e torna ad arredare la stanza con una sedia, un tavolo, e un quaderno carico di intuizioni ed evocazioni. L’essenzialità diviene parte integrante dell’architettura perfetta, angosciante e straziante senza cercare la tragedia. Piccoli drammi per grandi personaggi.

Elogio per la novella: Rimetti a noi i nostri debiti. Qui la Munro supera se stessa. L’infanzia entra gioco e ha tutti i tratti dell’innocenza in bilico. Gioca con la paura segreta di ognuno di noi: l’incubo di non riconoscere  i nostri genitori come tali e il terrore che ne scaturisce. Ma la novella grida -e sembra al contempo consolare con una consapevolezza rigida-  che la realtà è molto, molto più crudele rispetto ai nostri incubi infantili. La vita non è come piace a noi. Come tutto il resto.

Edizione di riferimento: Alice Munro, In fuga, Einaudi, 2005, euro 18

Voto: 10 e lode

venerdì 21 gennaio 2011

Quando il bene supremo è maligno: Tom Rob Smith, Bambino 44





Non è il solito thriller di marchio scandinavo. Questo appassionato autore inglese ha del talento liquido invidiabile. Lo stile pulito ed efficiente denota l’impronta anglosassone a cui ormai non siamo più abituati vezzeggiati e pungolati da alcuni autori scandinavi di (in)dubbia qualità. E’ un libro storicamente ineccepibile, dalle ricostruzioni mai caricaturali o forzatamente politiche. Risulta stucchevole, tuttavia,  nella semplicità e nella caratterizzazione del personaggio ombroso, forse per lasciare spazio al silenzio storico che politicamente cerchiamo ancora di nasconderci quando tocchiamo per mano il Comunismo. E’ un vaso di pandora degli orrori e il killer in questione non è altro che uno dei tanti perversi, e forse nemmeno il più pericoloso, che attanagliano la grande Russia sotto il regime comunista staliniano.

La trama è semplice, quasi un banale pretesto per dispiegare in scena i reali persecutori di un mondo sociale in agonia. Il regime lavora a tutta forza mentre propina assurde utopie in cui l’omicida, lo stupratore seriale, l’omosessuale, il pedofilo, il dissidente politico, l’uomo di lettere non sono altro che reietti della società comunista, ovvero pessimi cittadini che non seguendo le direttive morali del partito non proseguono il bene comune e pertanto devono essere allontanati, puniti e corretti con la forza. Il gulag sembra essere una festa al campus universitario dopo le torture inflitte da una casta di poliziotti senza scrupoli appartenenti all’MGB, precursore del nefando KGB. La sicurezza di Stato non è altro che un manipolo di torturatori sadici che pur di garantirsi scorte di cibo pregiato nei magazzini dello Stato sarebbero disposti ad incastrare innocenti senza il minimo sentore di coscienza. Il complotto, il grande sospetto non è altro che l’anticipo di tutti i sistemi di governo post bellici sino alle contemporanee democrazie. Anche oggi necessitiamo sempre nuovi nemici morali da osteggiare e allontanare per giustificare i confini nazionali e religiosi, salvaguardando così privilegi secolari di istituzioni ormai palesemente degradanti ed umilianti per la libertà civile delle comunità mondiali.
Sembra essere un gioco di prestigio sino a quando il cadavere di un ragazzino viene ritrovato sui binari di un treno e l'ufficiale dell'MGB Leo Demidov si sorprende che i genitori del piccolo morto siano convinti si tratti di omicidio. I superiori di Leo gli ordinano di non indagare né su questa morte né sulle altre che seguiranno. Leo obbedisce, anche se sospetta che qualcuno di molto importante possa esserne implicato. Smetterà di obbedire nel momento in cui alla giovane moglie Raisa arriveranno minacce affinchè diventi lei stessa garante e spia dell'operato di Leo. Da agente inquisitore allineato con i diktat governativi, Leo diventerà un nemico pubblico da snidare, inquisire e sicuramente eliminare. Costretti a fingere di non amarsi per non nuocersi a vicenda, Leo e Raisa, dovranno proteggersi dal nemico ufficiale e potentissimo, e dai tanti nell'ombra di cui ignorano l'identità. Le voci sulle morti girano, e il senso comune inizia a comprendere come lo Stato non sia altro che una macchina psicotica messa in atto per soffocare ogni guizzo di vita al di fuori dell’utopia staliniana. 
Una società assassina che decreta l’assassino un malato mentale, la brutale contraddizione del benessere industriale mentre la popolazione vive di stenti a cui è tolto anche il diritto fondamentale di possedere una casa propria e non in condivisione con altre famiglie sconosciute, la fame enorme della gente contro i graziosi pranzi ipercalorici preparati per il capo supremo che obbliga a turni estenuanti i suoi sottoposti pur di poter digerire pazientemente la zuppa di carne. In questo delirio collettivo la vendetta di questo serial killer sembra essere il minore dei problemi, il minore dei mali, il minore da sopportare.
In una scelta narrativa tanto abile quanto temeraria, Tom Rob Smith anticipa di quasi trent’anni una vicenda di cronaca nerissima: la grondante saga di Andrei Chikatilo, il famoso e famigerato “Mostro di Rostov” che disseminò l’Unione Sovietica pre-Glasnost di decine di cadaveri di bambini e adolescenti variamente mutilati e divorati. Eppure non è il serial-killer il protagonista nero della vicenda. (la cui tenebrosa storia personale dà il titolo al libro la nemesi di Leo Demidov). In Bambino 44, il vero antagonista è, di nuovo, il sistema stesso, incarnato dal mellifluo, lugubre, sadico ufficiale parigrado nemico giurato di Leo. Tom Rob Smith intreccia queste due storylines primarie, la caccia a un killer diabolico e sfuggente da un lato, lo scontro soprattutto etico tra “poliziotti” dall’altro, collocandole contro un sfondo da girone dantesco invogliando il lettore a tenersi stretta la propria libertà, la carta costituzionale dei diritti dell’uomo e l’altissima politica europea raggiunta in questi anni nonostante le divertenti digressioni delle lobby tecnocratiche ed economicistiche.

Voto: 7,5

Edizione di riferimento: Bambino 44 (Child 44), di Tom Rob Smith, 444 p.Traduzione di Annalisa Garavaglia, Sperling & Kupfer, 2008